Sotto il cielo di Bologna
Dove l’equilibrio è un atto d’amore e si impara ad andare avanti anche quando si vacilla.
Sotto il cielo di Bologna, fra felicità e vergogna, c’è già la spinta per vivere.1
C’è una verità in questa frase di Ligabue che si sente solo quando si è davvero a Bologna.
L’ho capito tornandoci, per la seconda volta: è stato come come rientrare in un luogo che, in qualche modo, mi appartiene.
Non perché ci sia nata, ma perché mi ci riconosco. Perché certi luoghi non li visiti soltanto: li attraversi e loro attraversano te.
Bologna è una città che vede il mondo dal mio stesso punto di vista. E’ una città che ti accoglie senza troppe cerimonie: ti prende per mano e ti dice “vieni, cammina con me”.
E lo puoi fare davvero, camminare, anche su ruote.
I suoi portici sono come braccia spalancate che non lasciano fuori nessuna: continui, regolari, quasi ostinati nel voler rendere accessibile ogni passo.
E mentre altrove le barriere sono ancora muri, qui sembrano già superate da tempo, con naturalezza.
Non è solo questione di architettura. È qualcosa che si respira.
Bologna è viva, giovane, colorata.
C’è una forza, un’apertura, che ricorda quella Val Seriana2 di cui ho scritto tempo fa: anche lì, una sensazione di appartenenza che non si spiega, si sente.
Bologna non è solo accoglienza.
Come scrive Guccini3, è una vecchia signora dai fianchi un po’ molli una città che sa essere capace d’amore e capace di morte.
C’è un equilibrio instabile, un continuo oscillare tra felicità e vergogna, per l’appunto.
Forse è proprio per questo che, mentre percorrevo i portici, mi hanno colpita quei funamboli sospesi in aria, in bilico su un filo teso.
Li ho guardati e ho pensato che Bologna è un po’ così: un atto di equilibrio. Tra passato e futuro. Tra radici e libertà.
Forse è questo che mi lega a lei: la consapevolezza che vivere non significa essere perfetti, ma trovare ogni volta un nuovo equilibrio.
Chi si muove nel mondo portandosi dietro la propria differenza lo sa bene: la stabilità non è un punto d’arrivo, è un esercizio continuo.
Bologna mi insegna che vivere è restare in equilibrio sapendo di poter cadere, ma potendo sempre scegliere di rialzarsi e continuare il cammino.
E allora sì, forse le appartengo un po’, perché anche io credo che la spinta per vivere stia tutta lì, in quel filo teso tra fragilità e coraggio. E anche se l’equilibrio non è il mio forte procedo, come una funambola, un passo alla volta.