Il treno dei desideri
Pillole di consapevolezza su ciò che c'è, ciò che non c'è mai stato e ciò che (forse) può ancora esserci.
Ve lo dico subito: anche oggi si parla di corpo. Non biasimatemi: praticamente in contemporanea mi sono capitate sott’occhio questa newsletter1 e una citazione di Barbara Garlaschelli,2 che snocciolerò pian piano.
Si merita amore questo corpo, come quello di tutti. E non solo l’amore fisico, ma quello che posso offrirgli io. Devo imparare a proteggerlo, e per farlo capisco che devo esporlo, fargli correre dei rischi. Usarlo.
Quanto uso il mio corpo? Quanti rischi corriamo insieme? Quanto amore gli do? Zero.
La “testa”, il pensiero, l’osservazione, il linguaggio. Quelli sono i miei punti di forza. Il corpo l’ho sempre percepito come un guscio difettoso che mi devo portare dietro. Così, come molte persone disabili, sono cresciuta cercando di minimizzarlo, renderlo invisibile, tenerlo sotto controllo.
Arriverà avanti con gli anni questa consapevolezza, e arriverà poco alla volta. Non è ancora arrivata tutta, lo so.
Non so se raggiungerò mai la piena consapevolezza di me e del mio corpo, ma so che poco per volta la sto cercando e sperimentando.
L’ho capito perché negli ultimi mesi si è fatta sempre più forte in me la sensazione di star sprecando qualcosa. Non solo il tempo – che è sempre imperfetto per tutte – ma un pezzo della mia vitalità. Ho realizzato che sto vivendo solo con una parte di me. E mi chiedo: come si fa a vivere con tutto? A sentire il corpo non come un peso, ma come uno strumento essenziale?
Oggi so che il mio restare nella mente, non mettendo mai in gioco il corpo, è anche frutto dell’ambiente in cui sono cresciuta. Ho sempre vissuto circondata da persone più grandi di me, la maggior parte delle quali cresciute a loro volta sotto il segno di una forte impostazione cattolica conservatrice3.
Nonostante le mie vedute siano oggi, sotto tantissimi aspetti, diverse e più ampie, è con queste persone che entro più facilmente in sintonia: nelle conversazioni, nei valori, nelle prospettive.
Ci sono momenti in cui vorrei che la mia mente si staccasse da questo corpo, sempre troppo lento, ingombrante, che mi appare fuori tempo e fuori luogo.
Per me quei momenti sono la normalità. La quotidianità.
Ecco perché anche quando mi si sono presentate occasioni per mettere in gioco l’aspetto corporeo, mi sono sempre tirata indietro. Oggi so che la causa era una mancanza di fiducia. Non tanto nelle altre persone, quanto in me stessa. Come posso mostrare a qualcun altro qualcosa che io per prima non amo?
E se invece per imparare ad amare il mio corpo dovessi proprio farlo entrare in relazione? Non ho mai provato neppure a cercare esperienze affettive. Col tempo però questa assenza ha iniziato a farsi sentire. Non tanto per il giudizio delle altre persone, ma perché mi sento fuori tempo. Come se non potesse più esserci l’occasione per vivere le cose che avrei dovuto imparare da adolescente: la sicurezza, la tenerezza, l’attrazione, la reciprocità.
Mi sento come se mi mancasse la grammatica di una lingua universale che io non ho mai studiato.
Poi basta una carezza data da qualcuno che ti ama. Basta che percepisca il fremito di un desiderio inespresso e, con stupore, questo corpo torna ad essere mio.
Passati i trent'anni, mi ritrovo ancora a creare connessioni solo a livello mentale, perché quello è il territorio che so abitare. So ascoltare, pensare, parlare e condividere idee, ma fatico a stare nel mio corpo. E non so lasciare che altre persone si relazionino con lui, che sia per un abbraccio, una carezza, un gesto di vicinanza.
Ma il treno dei desideri, dei miei pensieri, all’incontrario va, canta Celentano (l’ho detto che sono cresciuta con persone più grandi di me…).
Ecco, io mi sento così. Come se i miei desideri, invece di portarmi avanti, mi trascinassero indietro. Come se la direzione del mio tempo fosse inversa a quella del mondo, ma so che è la mia, e che imparerò a correggerla, dove sarà necessario. Un passo alla volta.
🎈Sto imparando a vivere anche nel corpo, non solo nella testa. Se anche tu sei su un percorso simile, possiamo camminare un po’ insieme.
B. Farlaschelli, Sirena, 2014.
Grazie
per il tuo commento alla newsletter di Gio: una piccola, ma significativa pillola di consapevolezza. E grazie a chi, dentro e fuori da questo spazio, dà il suo importante contributo perché possa diventare la versione migliore di me.
Solo una parola: grazie ❤️🔥
Conosco Barbara Garlaschelli (non personalmente....ma come "amica di amici"), conosco la sua storia, ho letto i suoi libri e so come la pensa riguardo a corpo e fisicità. So anche che non per tutti (disabili e non) il rapporto col proprio corpo è semplice e lineare, propenso con naturalezza al contatto e alla vicinanza......quindi non sei certamente da sola!
Ho sempre pensato che pochi abbiano quella innata sicurezza e quell'autostima sufficiente per esporsi senza titubanze e per vivere con scioltezza la prossimità..... Tutti gli altri devono prima avere lottato e avere vinto la propria battaglia con lo specchio per affrontare gli sguardi e gli approcci altrui....battaglia che, ad esempio, il passare degli anni continua a riproporti e ti obbliga a rimetterti in gioco. Ma è comunque una partita che va giocata, pur con fatica e con difficoltà, perché si sa, "nessuno è perfetto" ma tutti hanno il diritto di vedere valorizzate le proprie qualità e soddisfatti i propri desideri.
Un abbraccio 😘