Faccio parte della minoranza più numerosa del mondo: le persone con disabilità.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, siamo oltre 1,3 miliardi — circa il 16% della popolazione globale. Un dato enorme, eppure spesso invisibile.
Forse è anche per questo che ho una sensibilità particolare verso le discriminazioni, in tutte le loro forme. So cosa significa vivere in un mondo che non è stato progettato per te. So cosa vuol dire sentirsi un’eccezione, un errore di sistema, un "caso a parte". E so anche quanto può essere faticoso spiegare ogni giorno il perché di una richiesta di accesso, di ascolto, di spazio.
Lo scorso anno, ho scoperto il concetto di intersezionalità,1 ben rappresentato dall’immagine del mandala che
racchiude, come in un abbraccio, l’intersezione tra più categorie sociali, l’umanità che accomuna le persone nella differenza, la circolarità delle relazioni di potere, i contesti in cui i soggetti operano e le strutture in cui interagiscono, la staticità e la dinamicità dell’intersezionalità e il suo potenziale trasformativo.2
Cosa significa, dunque, adottare un approccio intersezionale? Significa innanzitutto prendere atto che non esiste una sola identità, una sola forma di disuguaglianza. Ognuna di noi è attraversata da più dimensioni: genere, orientamento sessuale, provenienza, status economico, abilità, età… E queste dimensioni non si sommano semplicemente. Si intrecciano, si amplificano, si complicano.
Essere donna e disabile, ad esempio, non è solo "essere due cose": è vivere una condizione che ha caratteristiche proprie, specifiche, spesso invisibili agli occhi di chi guarda con uno sguardo unico.
Per questo non credo nelle soluzioni semplici. Credo nell’equità, cioè nella capacità di riconoscere le differenze e di offrire risposte diverse a bisogni diversi. Non per “favorire” qualcuno, ma per garantire davvero a tutte le persone le stesse opportunità di partecipazione e la stessa dignità.
Sempre e per sempre, dalla stessa parte, mi troverai, canta romanticamente De Gregori.
La mia, di parte, è quella di chi ha meno voce, meno potere, meno possibilità.
Di chi fa spazio, di chi guarda indietro per non lasciare indietro nessuno. Di chi edifica ponti invece di alzare muri. Di chi crede che un mondo migliore si costruisca solo così: un passo alla volta.
🎈 E tu, da che parte stai?
B.G. Bello Intersezionalità. Teorie e pratiche tra diritto e società (2020)
Io sto dalla tua stessa parte!
Le situazioni che hanno necessità di essere ascoltate per offrire le stesse possibilità e la stessa dignità degli altri sono molteplici....ognuno naturalmente vede soprattutto la sua, ma ce ne sono davvero tante e puoi vederle dappertutto.
La mia recente esperienza ospedaliera ne è un esempio. La vita è fatta di persone: il carattere, l'impostazione, l'empatia e la capacità di ascolto di ciascuno fanno la differenza nei rapporti, ma è l'insieme dei nostri atteggiamenti che fanno una comunità....e se prevale l'ascolto, siamo sulla buona strada. Se invece prevale l'indifferenza ...la strada è lunga!
In ogni caso, bisogna percorrerla 💪🏻😘