Oggi consentitemi di immergermi nel mood della giurista fallita, ma ancora tenacemente convinta che il diritto possa essere uno strumento di cambiamento.
Negli ultimi mesi ho seguito con attenzione il Referendum abrogativo dell’8-9 giugno1. I temi erano quelli che più mi stanno a cuore: lavoro, diritti, equità. Gli esiti invece non sono stati quelli che speravo, ma nel frattempo, su un terreno simile, è arrivata una notizia che ha il sapore di una piccola svolta.
Ad aprile è stato siglato un nuovo Accordo Stato-Regioni sulla formazione obbligatoria per dirigenti e datori di lavoro. Per la prima volta, i percorsi includeranno due temi fondamentali: la prevenzione di violenze e molestie nei luoghi di lavoro e il diritto agli accomodamenti ragionevoli per le persone con disabilità. Argomenti che in teoria dovrebbero essere già noti, ma che raramente trovano casa nei programmi formativi, nei regolamenti interni, nei comportamenti concreti.
Il documento richiama espressamente la Convenzione ILO 190, un trattato internazionale, in vigore in Italia dal 2021, che tutela chi lavora da ogni forma di molestia e violenza, dalla battuta sessista, alla svalutazione sistematica, fino all’esclusione reiterata. La Convenzione finora è rimasta ai margini, ma l’obbligo formativo potrebbe finalmente farla uscire dalla nicchia.
E’ importante ricordarlo: violenza non è solo quella fisica. Ci sono anche le molestie psicologiche, sessuali, economiche, di genere. Quelle che si insinuano nelle dinamiche quotidiane, che intaccano la salute mentale e il diritto a lavorare in un ambiente sicuro. Spesso non sono nemmeno riconosciute come tali. E invece esistono, e vanno nominate. Soprattutto da chi ha il potere – e il dovere – di prevenirle.
Il secondo grande tema dell’Accordo è quello degli accomodamenti ragionevoli. Mi riguarda da vicino, come persona disabile e come disability manager. Anni fa ho chiesto un part-time per poter conciliare il lavoro con la vita. L’ho fatto quando ancora non esisteva il decreto legislativo 62/2024, ma c’era una base giuridica ancora più forte: la Convenzione Onu del 2006 sui diritti delle persone con disabilità.
Vorrei un mondo del lavoro dove quello che al tempo veniva percepito quasi come un capriccio, sia riconosciuto per ciò che è realmente: uno strumento di giustizia. Perché non dovremmo mai essere costrette a “meritare” i nostri diritti. Dovremmo semplicemente esistere, con le nostre vite complesse, fragili, e piene, e trovare un contesto che non ci chieda di adeguarci continuamente. Perché non dovremmo dover lottare per farci spazio. Dovremmo semplicemente trovarlo.
E’ in quest’ottica che vorrei spendermi come disability manager. Non come una figura simbolica, né “accessoria”, ma come parte attiva del processo che può trasformare la cultura organizzativa, cominciando dall’applicazione della normativa esistente, fino alla costruzione di ambienti in cui la disabilità non sia vista come un problema da gestire, ma come una delle tante condizioni umane da rispettare. Non si tratta di inclusione2. Si tratta di diritti, di autodeterminazione, di possibilità concrete.
Serve un radicale cambiamento di prospettiva, ma sono convinta che si possa realizzare. Un passo alla volta.
🎈 Cosa possiamo cambiare? E come? Dimmi la tua nei commenti!
Prima di aprire questo mio spazio, ho scritto, insieme a Giovanna Errore ,una newsletter per Inclusivə. Puoi ancora leggerla. Non ti pare che abbiamo perso una grande occasione?
Non mi piace per niente la parola inclusione. Nel prossimo numero della newsletter ti spiego perché.
Cosa cambiare e come? Intanto serve la conoscenza della normativa da parte di chi deve gestirla, e poi, chiedere che venga semplicemente applicata. Nel tuo caso, invece, hai dovuto ricevere numerosi rifiuti prima di interloquire con la persona preparata che ti ha risposto "assolutamente sì". Voilà...detto fatto!
Ed è già un passo! Soprattutto nelle realtà in cui sono previste e applicate le assunzioni delle categorie protette......e se si chiamano "protette" , è già indicato quello che bisogna fare, senza dover battagliare continuamente. Punto.
Poi, si sa, alla base di tutto c'è il rispetto dell'altro, che sia nella vita lavorativa, familiare, sociale, mediatica.....e purtroppo questo è un valore pesantemente mancante, poco valorizzato, poco incentivato .... Anzi, quasi sminuito. Vince chi fa la voce grossa, chi è prepotente. Vince "la foto più bella", anche se priva di contenuti. E allora bisogna vivere come i gatti...con le unghie pronte per cercare di difendersi....
Ma è bello pensare che in questo mondo non siamo tutti uguali !