Ciao,
benvenuta1 in questo nuovo spazio, che ho creato per dare forma ai miei pensieri e alle mie elucubrazioni mentali, ma soprattutto per smettere di lasciarle solo mie.
Qui troverai riflessioni lente e ostinate su lavoro, disabilità e differenze.
Non pretendo di insegnare nulla, ma mi auguro che leggendo ti sentirai meno sola.
Giugno è il mese del Pride.
Lo dico subito: fino agli anni dell’università non sapevo nemmeno che esistesse. E fino ad allora non mi ero mai interrogata né sulla mia identità di genere, né sul mio orientamento sessuale (lo so, arrivo sempre in ritardo rispetto alla media). Figuriamoci se mi interessavano questi aspetti delle altre persone.
Uno dei primi strumenti che ha acceso una scintilla in me è stato un esame universitario: filosofia del diritto.
Tra i testi in programma c’era Le nozze di Sodoma2, del prof. Tincani, un saggio sulla legittimità del matrimonio omosessuale.
Io non mi riconosco nell’orientamento omosessuale, né ho in programma di sposarmi nella vita, eppure quel testo mi ha colpita particolarmente.
Se la memoria non mi inganna, in un passaggio l’autore rifletteva sul fatto che si parli di “orientamento sessuale” proprio perché non è qualcosa di definitivo, ma muta nel tempo, cambia con noi. O almeno può farlo.
Tornerò tra poco su questo punto.
Sempre negli anni dell’università, grazie ai social, ho scoperto un termine: demisessualità.
Si tratta di un orientamento che fa parte dello spettro asessuale, sì, proprio quella lettera “A” nell’acronimo LGBTQIA+3 che pochi sanno decifrare per intero, dimenticando che ogni lettera racchiude storie, lotte, bisogni di riconoscimento.
Essere demisessuale significa sentire attrazione sessuale solo quando si costruisce un legame emotivo profondo.
Per un po’ ho pensato: Ecco, sono io.
Ma oggi, la persistente assenza di legami sentimentali forti, mi rende più insicura.
Così mi chiedo: e se non sono demisessuale? O se lo ero e ora non più? E il fatto di non aver mai avuto esperienze mi impedisse di affermare con certezza il mio orientamento?
Già, le esperienze. Non ne ho mai vissute, o almeno non nel senso pieno, consensuale, consapevole.
Ci sono diverse ragioni: da una parte, un rapporto con il mio corpo sempre mediato da altre persone: un corpo da curare e da monitorare per via della disabilità.
Un corpo, a volte, protetto fino all’eccesso. Un corpo nascosto. Un corpo che, per lungo tempo, non è stato vissuto.
Dall’altra parte, ci sono state esperienze che io ho identificato come violente, anche se ad occhi esterni non lo sembravano.
Violente perché carenti di una cosa fondamentale: il consenso.
Non si è trattato di atti brutali, ma di momenti in cui la mia volontà non è stata ascoltata, o non è proprio entrata in gioco.
E sì, anche questo lascia segni. Segni che per anni non sono riuscita nemmeno a nominare.
Ed è qui che entra in scena la psicoterapia. Un percorso fondamentale, che ha dato dignità alle domande, ai silenzi, ai “non so” che mi portavo dentro da troppo tempo.
E più di recente, un altro incontro importante: il collettivo Le Zittelle.
Ci siamo conosciute da poco, ma è stato come trovare uno spazio sicuro, dove condividere dubbi e ridefinire parole.
Proprio qualche settimana fa ho partecipato a un’apertura sul tema del consenso, dal quale nascerà un vero e proprio percorso formativo e di confronto.
Queste esperienze mi hanno insegnato che non c’è bisogno di arrivare presto. Basta sentirsi vive e pronte a raccontarsi. Ed è così che mi sento, oggi.
Non sono una Bride to be, ma, cambiando la sola lettera maiuscola, affermo cosa significa oggi Pride per me: riconoscere che l’identità non è fissa, che si può cambiare idea, che si può prendere tempo. Che ogni lettera di LGBTQIA+ ha un senso. E che anche quel “+” finale è importante: è lo spazio che resta aperto, che accoglie chi sta ancora cercando parole e definizioni, ma anche chi, semplicemente, sceglie la libertà di non averne.
Io, forse, sto in quel “più”, in quella soglia. E sto imparando a starci bene. Un passo alla volta.
🎈Se qualcosa in questo racconto ha risuonato dentro di te, ti va di raccontarmi la tua storia? Scrivimi rispondendo direttamente a questa mail. Leggerò ogni parola con attenzione.
In questa newsletter mi rivolgo a tutte le persone interessate, indipendentemente dall’identità di genere. Ho scelto di utilizzare il femminile ed in particolare il femminile sovraesteso come scelta politica femminile e per garantire maggiore accessibilità e fruibilità, soprattutto per chi utilizza lettori di schermo. Forme come l’asterisco o la schiva risultano poco leggibili per molti strumenti di supporto.
Tincani, P. Le nozze di Sodoma, 2009.
L’acronimo sta per Lesbica, Gay, Bisessuale, Transgender, Queer, Intersessuale, Asessuale.
Grazie Zittella🌸 è un piacere averti conosciuta.
Per ora, più che raccontare la mia storia, ascolto la tua.... Ti descrivi come una persona "che non sta al suo posto" e questo mi piace perché sta per "non si adegua allo schema prefissato".....ma un po' ti conosco e so che in tante occasioni sei stata una persona che era esattamente al posto giusto! Questo perché la tua arguzia, la tua schiettezza, il tuo essere diretta ti fanno dire la cosa giusta al momento giusto ! Certo, sicuramente qualche volta sarà stata anche la cosa sbagliata al momento sbagliato ...ma più di una volta mi hai dimostrato di essere esattamente sul pezzo e che da te c'è molto da imparare!
Quindi...buon lavoro e buon percorso, Chiara!