Help, I need somebody...
Quando i Beatles l’hanno cantata, di certo non pensavano alla disabilità, ma è un evergreen: sta bene con tutto. Anche con questo.
Luglio è il Disability Pride Month.
Un mese nato per celebrare l’orgoglio di essere persone disabili1, per ribaltare la narrazione fatta solo di dolore, mancanza e superamento. Un mese in cui ricordare che la disabilità non è qualcosa da nascondere, correggere o superare, ma una delle tante possibilità dell’essere umano.
A me piacciono queste ricorrenze. Mi piacciono quando accendono una luce là dove c’è buio, quando danno parole a chi non ne ha mai avute, quando fanno sentire meno sole.
E mi piacciono ancora di più quando non si fermano al simbolo. Perché non basta una bandiera dedicata2, una giornata sul calendario o una newsletter. Serve trasformare la consapevolezza in azione: nelle politiche, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nelle città. E nelle nostre teste.
Altrimenti, rischiamo solo di mettere una cornice dorata attorno a uno specchio rotto.
L’orgoglio non è un esercizio di vanità.
È un atto politico, necessario, rivoluzionario. È il rifiuto di vergognarsi di esistere in un mondo che ci vorrebbe “più normali”, “meno d’intralcio”. Un mondo disabilista.
Ma cos'è il disabilismo3, esattamente?
È un sistema di pensiero e di pratiche per cui una persona disabile è percepita come meno valida, meno desiderabile, meno capace.
È la radice di molte discriminazioni – esplicite e implicite – e interiorizzarlo significa fare nostro quel giudizio, anche senza accorgercene.
Così le persone disabilitate finiscono per sentirsi un peso, per credere di dover sempre “compensare”, di dover giustificare la propria esistenza.
Crescere in una società disabilista è un po’ come vivere in un film di Indiana Jones.
Solo che, invece dell’arca perduta, vai alla ricerca di qualcosa di ancora più sfuggente: il tuo equilibrio.
È una corsa a ostacoli piena di trappole invisibili, aspettative sociali e vocine assillanti nella testa che ti dicono: “ce la devi fare da sola.”
È lì che si insinua il disabilismo interiorizzato: quel meccanismo mentale (alimentato da una cultura intera), che ti fa credere che chiedere aiuto sia un segno di debolezza. Che il tuo valore stia tutto nella tua autosufficienza. Che, per meritare rispetto, tu debba essere forte, capace, magari anche un po’ stoica.
Il disabilismo interiorizzato affonda le radici in un mito più grande: quello dell’indipendenza. L’idea che valiamo solo se bastiamo a noi stesse. Peccato che sia, appunto, un mito. Una fantasia collettiva.
Perché nessuno è davvero indipendente: se mi si rompe un tubo, chiamo l’idraulico;
per mangiare, qualcuno deve coltivare, trasportare e vendere il cibo; se prendo un farmaco, dietro ci sono mediche, ricercatrici, infermiere, farmaciste.
Siamo tutte interdipendenti.
Alcune dipendenze si vedono di più, altre si danno per scontate, ma nessuna persona fa tutto da sola.
Capirlo è stato liberatorio. Così ho iniziato a dire:
“Non ce la faccio.”
“Mi serve una mano.”
“Potresti aiutarmi?”
E, sorpresa: il mondo non è crollato.
Imparare a chiedere aiuto non mi ha resa meno capace. Mi ha resa più vera. Più libera.
Parlare di disabilismo è importante anche – e soprattutto – in questo mese.
Perché non si tratta solo di celebrare chi siamo, ma di rivendicare il diritto di esserlo pienamente, ovunque, con dignità. Anche chiedendo aiuto.
Il disabilismo è radicato nella nostra società. Non so se sparirà mai del tutto, ma so che ogni volta che chiedo aiuto senza vergogna, metto a tacere quella vocina che dice “devi farcela da sola”. E sconfiggo un altro pezzetto di disabilismo interiorizzato. Un passo alla volta.
🎈E tu? Hai mai sentito quella vocina che ti dice di farcela da sola? Raccontami la tua esperienza. Scrivilo nei commenti.
Persone disabili è l’espressione che unitamente a persone disabilitate preferisco usare. Va bene anche persone con disabilità, espressione utilizzata principalmente negli atti normativi. (cfr. Convenzione ONU 2006 o d.lgs. 62/2024). Si sta diffondendo anche l’uso di persone disabilitate (traduzione di disabled), espressione utilizzata nei Disability Studies per spostare il focus sull’ambiente e per attribuire responsabilità alla politica.
La disability pride flag: colori tenui, su sfondo nero, 5 linee oblique di diversi colori rappresentano le tipologie di disabilità. Se vuoi saperne di più, qui un efficace riassunto della storia e del significato (in inglese).
Più comunemente noto come abilismo. Scelgo di aderire alla corrente che preferisce usare il termine disabilismo per mettere in risalto che si tratta di discriminazione sistemica nei confronti di una persona con disabilità. Sarei semplicemente abilista se discriminassi una persona senza disabilità per il suo non essere abile a fare qualcosa.
Dipendenza affettiva...o anche comodità scontata 😉? Era solo per dire che c'è anche chi propende per chiedere aiuto sempre, a prescindere!!
Imparare a chiedere aiuto non mi ha resa meno capace. Mi ha resa più vera. Più libera."
Il concetto è bellissimo e universale!
Conosco persone che non fanno un passo senza il consenso e l'appoggio pratico ad esempio del partner, ma senza porsi alcun problema! Non sentono di dover dimostrare proprio niente...
Io sono più dello stampo "devo farcela da sola" ma poi bisogna riconoscere che l'aiuto serve ad andare oltre un limite, o ad esaudire un desiderio, e quindi perché negarselo?
Un abbraccio 😘