Fuori dal cerchio
Perché non mi piace la parola inclusione e cosa possiamo dire (e fare) di meglio
Ci sono parole che sembrano buone, giuste, persino generose. Inclusione è una di queste. È una parola che si usa ovunque: nei convegni, nei progetti scolastici, nei post sui social. Eppure, ogni volta che la sento, mi si accende dentro un piccolo campanello d’allarme.
Non è solo una questione semantica. È una questione di sguardo, di struttura, di potere. Perché “includere” implica che qualcuno stia già dentro e qualcun altro debba essere fatto entrare, spesso a certe condizioni. Un gesto che può sembrare accogliente, ma che resta sempre unilaterale.
Ecco, credo che sia questo il punto. Le persone disabili, come tutte le persone, non hanno bisogno di essere incluse, hanno bisogno di stare nel mondo. Di viverlo con i propri limiti e le proprie capacità, esattamente come chiunque altro. Non serve qualcuno che le “inserisca” in un cerchio, ma piuttosto che quel cerchio venga cancellato o, meglio ancora, mai disegnato.
La verità è che molte persone persone disabili — e questa è stata anche la mia esperienza — nascono dentro un cerchio. Un cerchio già tracciato, fatto di aspettative sociali bassissime, di decisioni prese per loro, di opportunità che restano sempre troppo poche. Un cerchio chiuso, dove spesso restano intrappolate.
Questo cerchio non è solo una metafora: è fatto di barriere architettoniche e mentali, di esclusioni velate e non dette, di uno sguardo che tende a giudicare prima di ascoltare. Un cerchio che separa, limita, definisce.
Un cerchio che, come dicevo, non dovrebbe essere neppure disegnato. Per questo è necessaria una rivoluzione culturale: serve ridefinire il senso di comunità, di partecipazione, di relazione. Per costruire un mondo in cui ogni persona possa semplicemente essere, bisogna rifiutare l’idea che esistano spazi “normali” e “anormali”, “inclusivi” o “esclusivi”.
Non è un’utopia, ma una pratica quotidiana, fatta di piccoli gesti, di ascolto autentico, di riconoscimento reciproco. È un invito a camminare su strade che non siano già segnate da convenzioni e limiti imposti.
E se a volte il cammino sembra troppo difficile, troppo lento, allora forse è proprio lì che si vede la vera forza. La forza di chi non accetta più di essere messo in un cerchio, ma vuole percorrere la propria strada, anche se non tracciata da nessuno.
Enrico Brizzi in Jack Frusciante è uscito dal gruppo invita a fare un salto fuori dal cerchio che ci hanno disegnato intorno. Io non so saltare, ma so per certo che il mio obiettivo principale è uscire definitivamente dal cerchio. Un passo alla volta.
🎈 Ti senti chiusa in un cerchio e/o stai provando a uscirne? Raccontami la tua storia!
Mi avevi già convinta al primo paragrafo, ma mi hai conquistata con la citazione a Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Il mio unico problema è non riuscire a trovare un sinonimo (che sia comprensibile per la maggior parte delle persone). Vera Gheno propone, invece di "linguaggio inclusivo", "linguaggio ampio". Come ti sembra?
Eh, sì... "Inclusivo" presuppone che "qualcuno ti lasci o ti faccia entrare".
"Universale" sta per "vale per tutti " e dovrebbe escludere i cerchi a prescindere... può essere un'idea 👍...
...che poi qualche cerchio attorno ce lo troviamo un po' tutti, quando ci sentiamo catalogati in una categoria, o soffocati dagli eventi, ma con un po' di impegno e di fortuna ci si riesce a liberare e ed evadere! Il cerchio di cui parli tu è un po' più solido, proprio perché attorniato da preconcetti giudicanti e classificanti.
Che bello è invece scoprire quello che c'è nella reciprocità e quante cose puoi imparare, cogliendo nuovi spunti di riflessione, condividendo il reciproco sostegno, ....o anche l'opportunità di una gita o di un concerto insieme 😉! 😘