Jannik Sinner ci insegna a valorizzare le differenze
Dalle montagne dell’Alto Adige una lezione sulla libertà personale.
C’è un paradosso curioso in Jannik Sinner: è allo stesso tempo il simbolo di un’Italia che cambia e lo specchio dell’italiano medio.
Un ragazzo semplice, educato, concreto. Nessun eccesso, nessuna frase fuori posto. Dietro quella calma apparente, però, sembra esserci molto di più di un carattere riservato: c’è una storia che parla di identità, di appartenenza, e di differenze che convivono.
Sinner è nato e cresciuto a San Candido, in Alto Adige, una terra dove ogni giorno si impara, più o meno consapevolmente, a vivere nella complessità.
Lì l’italiano e il tedesco non sono solo due lingue: sono due modi di pensare, due memorie storiche, due sensibilità che si incrociano e a volte si scontrano.
È un territorio dove il concetto di “italianità” è sfumato, dove convivere significa cercare un equilibrio quotidiano tra culture, identità e prospettive.
In un certo senso, Sinner è figlio di quella convivenza.
Non si schiera, non rivendica, non alza la voce. È come se avesse imparato, fin da piccolo, che la vera forza sta nel rispetto e nella misura, nel non imporre la propria identità ma nel viverla con naturalezza.
È una lezione preziosa in un Paese che spesso fatica ad accettare la differenza, che tende a semplificare: o bianco o nero, o con noi o contro di noi.
E forse per questo le sue scelte ci colpiscono così tanto.
Quando ha deciso di partecipare al Six Kings — un’esibizione negli Emirati molto remunerativa, ma senza valore nel ranking — e poi di rinunciare alla Coppa Davis per prepararsi ai prossimi tornei, si è acceso un dibattito acceso.
“Ma come? Quando può rappresentare l’Italia si tira indietro?”
Confesso: l’ho pensato anch’io, per un attimo. E lo dico da rappresentante dell’ ”italiano medio” che prima del successo di Sinner non sapeva nemmeno come si contano i punti a tennis.
Poi mi sono fermata.
Forse la sua scelta non è una mancanza di amore per la nazione, ma un atto di libertà personale.
In fondo, valorizzare le differenze significa anche questo: riconoscere che ognuno ha diritto di dare priorità diverse, di scegliere per sé senza essere per forza etichettato come egoista o opportunista.
Sinner ci invita, senza volerlo, a superare l’idea che ci sia un solo modo di essere “italiani”.
Ci ricorda che identità e appartenenza possono convivere anche quando sembrano opposte.
Che si può essere italiani parlando tedesco, che si può rappresentare un Paese anche scegliendo di non esserci sempre, che la coerenza non è fare tutto quello che gli altri si aspettano, ma restare fedeli a sé.
Forse la vera lezione di Jannik Sinner sta proprio qui: nel mostrarci che la diversità non è una bandiera da sventolare, ma un modo silenzioso di stare nel mondo con autenticità.
E che la vera valorizzazione delle differenze comincia da noi, dal lasciare spazio a scelte che non capiamo del tutto, ma che possiamo imparare a rispettare, un passo alla volta.


